DALLA RUBRICA CAVALLI DI TROJAN PER L’INDICE DEI LIBRI DEL MESE
Dal numero dell’Indice dei Libri del Mese di luglio-agosto 2017
Durante la trentesima edizione del Salone Internazionale del Libro di Torino, all’interno del programma Prospettive Digitali coordinato da Giorgio Gianotto, l’avvocato penalista Carlo Blengino ha accennato, alla fine della sua conferenza, al ddl Orlando sulle intercettazioni. Il ddl permette al potere giudiziario di promuovere attacchi malware, finalizzati a penetrare nei dispositivi degli indagati per estrarre informazioni che possano essere utilizzate nelle indagini. Ciò che correttamente l’avvocato Blengino sottolineava è la preoccupante leggerezza con cui si guarda alla potenzialità di attacchi hacker di stato. Se si prova a fare un rapidissimo e non esaustivo elenco delle informazioni che un “funzionario” di stato potrebbe sbirciare accedendo al vostro profilo si potrebbero menzionare la lista dei contatti e delle chiamate (durata, frequenza, perse, rifiutate), ogni tipo di messaggio, dalle mail agli sms, Whatsapp, Telegram, Snapchat, Messenger, Hangout o qualsiasi altra applicazione di messaggistica istantanea (criptata o meno), le password di accesso di tutti i profili e gli account, sincronizzati con il dispositivo. Senza dimenticare il pieno accesso ai contenuti multimediali (sul dispositivo e sui vari cloud sincronizzati con esso) come foto, video, audio e note vocali, nonché la cronologia web: le pagine che abbiamo visitato, le ricerche, i download. La spia informatica conoscerebbe, inoltre, tutti i posti in cui siamo stati e per quanto tempo, quanto ci abbiamo messo ad arrivare e persino con chi eravamo.
Di fronte a questo sconcertante strumento di controllo stupisce il fatto che i politici sembrino volgere la loro attenzione principalmente alle intercettazioni telefoniche, ritenendo l’hacking uno strumento aggiuntivo tutto sommato marginale. Infatti il ddl non specifica i metodi o le regole entro le quali dovrebbero operare, durante (e dopo!) il trattamento dei dati, i presunti operatori; che, si dà il caso, potrebbero anche essere dipendenti di una ditta privata che fornisce una consulenza al pubblico ministero, il quale non avrebbe vincoli specificati che impongano l’obbligo di operare solo per mezzo di strutture pubbliche.
Ora, pur senza cadere in alcuna forma di complottismo, è evidente che esiste un problema di insufficienza culturale circa la materia digitale e informatica, in relazione alle grandi opportunità che permette di cogliere e ai terribili rischi che si potrebbero correre laddove non ci si muova con coscienza e consapevolezza. Il libero accesso a un dispositivo personale può rivelare, sulla vita privata del suo possessore, molto più di qualsiasi precedente tecnologia o metodologia di intercettazione o spionaggio. Risulta, quindi, davvero preoccupante il fatto che il potenziamento dei mezzi di controllo da parte del sistema giudiziario non sia accompagnato di pari passo da un incremento delle garanzie giuridiche di tutela rispetto ai nuovi sistemi di controllo. Nell’Italia degli scandali, degli opinionismi estremi e dell’allarmismo populista, appare davvero strano che sussista un’atmosfera lassista rispetto al fatto che non saranno più soltanto le multinazionali del silicio ad avere potenzialmente pieno accesso a ogni nostra informazione riservata ma anche gli stati e le polizie. Ma il problema non è solo italiano e provvedimenti simili sono già realtà in altri paesi. Certamente lascia di stucco il fatto che la macchina del welfare ammetta anche solo come ammissibile l’idea di annichilire la tanto decantata “privacy” facendo uso di malware, spesso difficili da controllare, in virtù di un maggiore controllo.
Quando era Orwell a scrivere della psicopolizia di 1984, lo scrittore britannico immaginava un organo di polizia capace di controllare i subordinati di un grande (e unico) partito centrale e parlava di schermi, utilizzati per indottrinare ma anche per spiare i cittadini. Sebbene Orwell già parlasse di psicoreato, e quindi proiettasse la reale possibilità di subire nel futuro una qualche forma di coercizione rispetto a informazioni riservate intercettate da un sistema centrale totalitario, ciò che lo scrittore inglese non poteva immaginare era l’incredibile mole di informazioni personali che sarebbero state in grado di estrarre le polizie del futuro, né tantomeno avrebbe potuto prevedere la facilità con cui questi provvedimenti avrebbero attecchito nei codici penali e nei regolamenti giudiziari, senza una grande o appassionata opposizione da parte di colore che sostengono di promuovere i diritti civili. A mettere in pericolo i valori della democrazia non sono solo i privilegi di classe, gli obblighi sanitari o la finanza strutturata, bensì la noncuranza nel prestare attenzione al fatto che chi controlla il passato, controlla il futuro e chi controlla il presente, controlla il passato.